Chiara Beretta, classe 1994, è una giovane fotografa di Milano, dove vive tuttora. Nel 2019 si laurea in Restauro dei Beni Culturali presso l’Accademia di Belle Arti di Como. Mentre inizia la professione di restauratrice, sviluppa un forte interesse per la fotografia e decide di approfondire lo studio al CFP Bauer di Milano. Oggi lavora come fotografa e fotoritoccatrice, portando avanti lavori e progetti personali e professionali.
Lo sguardo di Chiara è attratto principalmente dai paesaggi naturali e antropici: il passaggio silenzioso dell’essere umano, che lascia una traccia plasmando l’ambiente intorno a sé, è il tema principale del progetto "Non devi ricordarti chi sei". Nel suo unico romanzo, Susan Sontag descrive la sensazione che il giovane protagonista prova nel contemplare un vulcano, nel confrontarsi con qualcosa che ha una misura diversa da qualsiasi altra. “La terra si slarga, il cielo si dilata, il golfo si espande; non devi ricordarti chi sei.” (L’amante del Vulcano, Susan Sontag, Leonardo, 1996).
L’osservazione, per Chiara così come per la Sontag, è la più istintiva manifestazione del nostro senso primario. Ed è tutt’altro che didascalica; è un allenamento all’anti-narrazione, alla visione spuria, alla suggestione primigenia ed estemporanea. Non sorprende l’attenzione minuziosa che la fotografa pone su un groviglio di rami, che, nel silenzio fitto, si trasforma in qualcosa di tremendamente enigmatico.
Le sculture dei Giardini di Versailles coperte sono l’emblema del concetto di sfasamento di Gilles Clément, teorico dei giardini da cui la fotografa prende ispirazione: quello spazio è scandito dalle sculture, che rappresentano dei punti di riferimento importanti che, se appena modificati, ribaltano completamente la comprensione del luogo. Clément invita a “lasciare che lo sguardo indugi sulla crepa del muro” (Il giardino in movimento, Gilles Clément, Feltrinelli, 2023) ovvero soffermarsi su un piano che l’immaginazione non aveva previsto. Dimenticarsi chi sei può significare anche questo: abbandonare l’ordinario senso di percezione e lasciare che la realtà ti investa nella maniera più profonda e recondita possibile.
I luoghi marginali sono i protagonisti di questa serie fotografica, che celano dietro di sé l’immaginario collettivo e visivo dei non-luoghi. Il concetto di transitorietà è forte nelle fotografie di Chiara: il suo primo studio del paesaggio è iniziato a casa sua, a Milano Nord, in particolare negli ex gasometri della Bovisa. Uno paesaggio surreale, a metà tra l’industriale ed il boschivo, in cui il tempo sembra essersi fermato ed ogni luogo rappresenta una temporaneità unica. Un nuovo progetto di riqualificazione dello spazio, ideato da Renzo Piano, vedrà trasformare quel parco in un Polo Universitario del Politecnico di Milano, rendendolo un luogo non più congelato bensì in trasformazione.
Ed è così che le immagini della fotografa si presentano: temporanee, apparentemente ferme, ma racchiudono una dinamicità umana intrinseca al luogo stesso. La ricerca di Chiara si concentra quasi esclusivamente su paesaggi rurali, poco abitati, in cui la traccia umana si fonde perfettamente con l’ambiente naturale: una porta sul niente, una casa incastonata nella roccia, uno sgabuzzino di fortuna in mezzo al bosco. Il tutto è amalgamato dalla dolce grana della pellicola, che dona al progetto una sensazione confortevole di precarietà.
Un cumulo di macerie ci appare come il cimitero parlante di Spoon River, l’architettura morta di John Ruskin, la scena di un crimine di Edgar Allan Poe. La dimensione immaginativa di cui è intessuta la boscaglia non pretende di dissolverne l’inquietudine, ma anzi si fa forza grazie a essa, nutrendosi del nostro immaginario e di quello della fotografa stessa, tessendo dolci legami speculativi.
Per seguire Chiara Beretta
IG @chiarettadeglispiriti
Rubrica a cura di Sofia Giuntini
www.sofiagiuntini.com
@sofiagiuntini.raw